REGIONE SICILIANA


Comune di Ramacca

Città Metropolitana di Catania

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MINISTERO DELLA SANITA’
DIPARTIMENTO DELLA PREVENZIONE
UFFICIO III - MALATTIE INFETTIVE E PROFILASSI INTERNAZIONALE


CONSIGLI SULLA PREVENZIONE DI ALCUNE MALATTIE INFETTIVE
una raccolta di schede informative relative alle principali
malattie infettive per le quali la corretta informazione tecnico-scientifica è già efficace per una prevenzione di primo livello

Ministero della Sanità
Ministro: Prof. Umberto Veronesi

Dipartimento della Prevenzione Ufficio III - Malattie Infettive
Dirigente Generale: Dott. Fabrizio Oleari Dirigente: Dott.ssa Dina Caraffa De Stefano

Testo a cura di: S. D’Amato, P. Maran, M. G. Pompa, A. Prete, E. Rizzuto, L. Vellucci, L. Virtuani

Grafica e disegni di: E. Gagliardini, F. Castiglione

Collaborazione di: M. Bagnato, G. Oricchio, R. Strano
Realizzato con il contributo del Sistema Informativo Sanitario.


http://www.sanita.it/malinf
 
quali sono?

Le malattie dell'infanzia prevenibili per mezzo di vaccinazione sono:
  

MORBILLO 
ROSOLIA
PAROTITE
PERTOSSE 
MALATTIE INVASIVE DA HIB

 

che cosa è?

E’ una malattia infettiva causata da un virus del genere Morbillivirus, della famiglia Paramyxovirus, che si localizza in vari organi e tessuti.
La recettività (possibilità di essere infettati da un agente patogeno)
è universale e il morbillo è una delle malattie più contagiose che si conoscano.
Prima dell’introduzione dei vaccini antimorbillosi, quasi tutti i bambini si  ammalavano di morbillo prima del 15° anno
di vita.
Il morbillo è una malattia endemo-epidemica, vale a dire che è sempre presente nelle collettività, presentando picchi epidemici
(cioè un aumento del numero di casi rispetto a quelli attesi) ogni 3-4 anni, legati al fatto che i nuovi nati vengono a formare gradualmente una massa cospicua di soggetti suscettibili all’infezione.
Il morbillo lascia un’immunità che dura
per tutta la vita; anche l’immunità indotta dal vaccino è di durata lunghissima.

 

come si manifesta?

Dopo un periodo di incubazione (periodo che intercorre tra l’esposizione ad un contatto infettante e la comparsa dei primi sintomi) che può variare da un minimo di 7 ad un massimo di 18 giorni (solitamente però è di una decina di giorni), si ha comparsa di febbre, raffreddore, tosse secca, congiuntivite, chiazze rossastre sulla mucosa della bocca e della faringe
e macchioline bianche sulle gengive, all’altezza dei molari (macchie di Koplik): questo è il periodo prodromico della malattia, che dura 4-5 giorni, al termine del quale compare un'eruzione cutanea maculo-papulosa che dal collo e dal capo
si estende ad interessare tutto il corpo (esantema discendente).
L’inizio dell’esantema è solitamente accompagnato da un innalzamento della febbre che diminuisce poi piuttosto rapidamente.
L’esantema persiste per 5-6 giorni e, così come era iniziato, scompare a cominciare dal collo.
Per qualche giorno rimane una desquamazione della pelle (fase di convalescenza).
Il decorso del morbillo può essere mite nei lattanti, se ancora in parte protetti da anticorpi di origine materna ma,
solitamente, la malattia è più grave nei bambini molto piccoli e negli adulti.


le complicazioni del morbillo

Complicazioni più frequenti del morbillo sono laringiti e laringotracheiti, polmoniti
e broncopolmoniti, anche dovute
a superinfezione batterica, otiti medie, encefaliti ed encefalomieliti.
Queste ultime si manifestano con frequenza di circa un caso su 1000.
La mortalità dell’encefalite morbillosa arriva al 15% e si stima che il 20-40% delle persone sopravvissute ad una encefalite morbillosa subiscano conseguenze permanenti a livello neurologico.
Una complicanza del morbillo, rarissima, ma dagli effetti devastanti, è la panencefalite sclerosante subacuta (PESS).
Si tratta di una encefalite a lenta evoluzione, che può manifestarsi in un caso su 100.000 a distanza di molti anni dall’infezione con virus morbilloso, per lo più in persone che avevano avuto il morbillo nei primi due anni di vita.


cosa fare in caso di malattia

Riposo a letto in un ambiente confortevole, ben riscaldato ed arieggiato, ma non eccessivamente illuminato, insieme con una dieta leggera, ricca di zuccheri e liquidi, costituiscono la base per il trattamento del
morbillo.
Possono essere impiegati rimedi ad azione sintomatica per la febbre e la tosse ma la terapia antibiotica, sempre su prescrizione medica, dovrebbe essere attuata solo in caso di complicazioni di natura batterica (broncopolmoniti).

 

come si trasmette?

Il morbillo è una delle malattie più
contagiose che si conoscano; essa si trasmette per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con tosse, starnuti o semplicemente parlando.
Il periodo di contagiosità va da poco prima del periodo prodromico a 4 giorni dopo la
comparsa dell’esantema.
Nelle persone con alterazioni del sistema immunitario il morbillo può assumere
un decorso particolarmente grave e prolungato, con persistenza dell’eliminazione del virus per molte settimane dopo la fase acuta.


chi è a rischio?

Praticamente tutti, se non hanno avuto la malattia naturale o se non sono stati vaccinati, sono a rischio di contrarre il morbillo.


quanto è diffuso il morbillo in Italia

Ogni anno si registrano in Italia circa 24.000 casi di morbillo (media del periodo 1990-99), con notevoli oscillazioni tra gli anni epidemici ed i periodi tra le epidemie.
Soltanto nelle Regioni in cui si è riusciti a vaccinare la maggior parte dei bambini si è ottenuta una reale riduzione del numero dei casi di morbillo e, di conseguenza, del numero dei ricoveri per le forme complicate.
Dall’introduzione del vaccino antimorbilloso in poi, avvenuta in Italia nella prima metà degli anni ‘70, si è assistito ad un progressivo spostamento in avanti dell’età di massima incidenza della malattia.
Nel periodo 1980-89, l’86% dei casi di morbillo notificati si sono verificati nella fascia di età 0-14 anni; attualmente i casi di morbillo nella stessa fascia sono circa il 67%.
Questo spostamento in avanti dell’età, che può avere ripercussioni serie, in considerazione della maggiore gravità della malattia negli adulti, è dovuto alla insufficiente copertura vaccinale nei confronti del morbillo, che ha ridotto la circolazione dell’agente virale senza però riuscire ad interromperla del tutto.


come si evita

Nei confronti del morbillo esistono da tempo vaccini efficaci e sicuri.
Il vaccino antimorbilloso (M) viene ora usato per lo più in forma di combinazione con il vaccino antiparotite e con quello antirosolia (MPR). Tanto l'antimorbilloso, quanto l'antirosolia e l'antiparotite, sono vaccini a base di virus viventi attenuati, cioè di virus che hanno subito modificazioni tali per cui non sono più
in grado di provocare la malattia vera e propria ma sono ancora capaci di indurre una risposta difensiva da parte del sistema immunitario.
La vaccinazione MPR è raccomandata per tutti i bambini nel corso del 2° anno di vita, preferibilmente al 15° mese.
Secondo le più recenti indicazioni del Ministero della Sanità (D.M. 7 aprile 1999, Circolare n. 12 del 13 luglio 1999),
la vaccinazione MPR può essere eseguita in un qualsiasi momento tra il 12° ed il 15° mese di vita, anche contemporaneamente ad altre vaccinazioni.La somministrazione contemporanea di più vaccini non aumenta il rischio di effetti indesiderati e reazioni avverse. Il vaccino MPR può essere somministrato comunque a qualsiasi età, anche a persone che avessero già superato una delle malattie naturali.
La vaccinazione in persone già immuni, infatti, non aumenta il rischio di effetti collaterali e reazioni avverse.
La vaccinazione antimorbillosa, se eseguita entro 72 ore dall’esposizione ad un soggetto in fase contagiosa può avere una discreta  efficacia protettiva.
Per questo motivo la vaccinazione può essere utilizzata anche per il controllo di epidemie.
Anche la somministrazione di anticorpi già formati (immunoglobuline specifiche), se effettuate entro 6 giorni dall'esposizione a un soggetto infettante, può prevenire l'insorgenza del morbillo; l'impiego delle immunoglobuline andrebbe riservato alle situazioni (età tra 6 e 12 mesi, gravidanza) in cui è prevedibile un andamento più grave e una maggiore frequenza di complicazioni della malattia.
Per raggiungere l’obiettivo dell’eliminazione del morbillo, cioè l’assenza di casi di malattia, nelle situazioni in cui almeno l’80% dei bambini di età inferiore a 2 anni sia stato vaccinato, è possibile la somministrazione
di una seconda dose di vaccino, all’età di 5-6 anni, oppure di 11-12 anni.

Effetti collaterali; Controindicazioni alla vaccinazione e precauzioni;
False controindicazioni alla vaccinazione MPR vedi scheda “Vaccinazione anti – morbillo, - parotite, - rosolia (MPR)”

 

che cosa è?

E’ una malattia infettiva, molto contagiosa, causata da un virus, appartenente al genere Rubivirus, famiglia  Togaviridae, che
si localizza in vari organi e tessuti.
Precedentemente alla introduzione dei vaccini antirosolia, almeno l’80% delle persone venivano infettate dal virus della rosolia prima dei 20 anni.
Molto spesso la rosolia non si presenta
con segni clinici evidenti e con una sintomatologia ben definita, per cui le infezioni possono passare del tutto inosservate; questo può essere particolarmente rischioso nel caso di un’infezione contratta durante la gravidanza.
La rosolia è, come il morbillo, una malattia endemo-epidemica: essa è cioè sempre presente nelle collettività con picchi epidemici ogni 7 anni e più.
La rosolia, sia in forma clinicamente evidente che di infezione inapparente, lascia un’immunità (protezione nei confronti
di successive infezioni) che dura per tutta la vita.
Anche l’immunità indotta dal vaccino è di lunga durata.

 

Come si manifesta?

Dopo un periodo di incubazione, che può
variare da un minimo di 12 ad un massimo di 23 giorni (solitamente però è di 16-18 giorni), si ha comparsa di febbre, mal di testa, dolori alle articolazioni, raffreddore e gonfiore dei linfonodi posti ai lati delle orecchie e dietro la nuca. Sul viso e sul collo compaiono macchioline leggermente sollevate, di colore roseo o rosso pallido, molto meno fitte di quelle del morbillo e senza alcuna tendenza a confluire tra loro.
Tale eruzione cutanea, sotto forma di esantema, si estende successivamente al resto del corpo e scompare nel giro di due o tre giorni.
Un bagno o una doccia caldi rendono più evidente l’esantema, che non compare affatto in circa il 40% dei casi, mentre nel 20-25% dei casi compaiono soltanto la febbre e la tumefazione dei linfonodi.
La rosolia, quindi, si manifesta in modo conclamato soltanto nel 50% circa dei casi.


le complicazioni della rosolia

La rosolia è considerata una malattia ad evoluzione benigna, tuttavia complicazioni come artriti acute e artralgie sono frequenti, soprattutto nel caso di rosolia contratta in età adulta.
Complicazioni meno frequenti della rosolia sono la trombocitopenia (diminuzione del numero delle piastrine, elementi del sangue fondamentali per il processo della coagulazione) e l’encefalite, che si manifesta in circa un caso su 6.000. L’encefalite da rosolia può essere mortale.
Se la rosolia viene contratta da una donna durante la gravidanza, tutti gli organi ed i tessuti fetali sono coinvolti e gli effetti sul prodotto del concepimento possono essere molto gravi: aborto spontaneo; morte intrauterina del feto; malformazioni e lesioni di tipo infiammatorio, principalmente a carico del sistema nervoso, dell’apparato cardiocircolatorio, degli organi di senso, con ritardato sviluppo fisico e psichico (Sindrome da rosolia congenita).
Il rischio di avere gravi malformazioni nel feto quando la rosolia viene contratta in gravidanza è massimo nel primo trimestre (85% nelle prime 8 settimane, 52% dalla nona alla dodicesima settimana di gestazione), mentre le infezioni contratte dopo la ventesima settimana raramente provocano malformazioni congenite.
Le donne che intendano intraprendere una gravidanza, non vaccinate o non immuni in seguito alla malattia,  dovrebbero sottoporsi, prima del concepimento, ad una ricerca degli anticorpi antirosolia ed eventualmente alla vaccinazione (il test è offerto gratuitamente secondo il DM 10/9/98 per la tutela della maternità).


cosa fare in caso di malattia

Il riposo a letto, insieme con una dieta leggera ma ricca di zuccheri e liquidi, costituiscono la base per il trattamento della rosolia.
Per alleviare i sintomi dell’artrite il medico curante potrà prescrivere la terapia sintomatica più adatta.

 

come si trasmette

La rosolia è una malattia molto contagiosa, anche se non raggiunge i livelli di
diffusività del morbillo.
Il virus della rosolia viene trasmesso per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando.
Il virus della rosolia passa attraverso
la placenta e, per questa via, infetta il
prodotto del concepimento.
Il periodo di contagiosità, in cui la malattia può essere trasmessa dalle persone infette (con o senza sintomi manifesti) a quelle suscettibili, va da una settimana prima  a 4 giorni dopo la comparsa dell’esantema,
che può mancare del tutto.
I bambini affetti  da sindrome da rosolia congenita possono eliminare il virus e quindi, rimanere infettanti per molti mesi dopo la nascita.


chi è a rischio?

Praticamente tutti, tranne i vaccinati o coloro che sono immuni per avere già contratto la malattia.
Nel caso delle donne in gravidanza, il rischio si estende, con conseguenze che possono essere drammatiche, al prodotto del concepimento.


per le donne in gravidanza

Se si ha il sospetto che una donna in gravidanza possa avere contratto l’infezione, è opportuno eseguire immediatamente la ricerca degli anticorpi antirosolia su un campione di sangue
conservando una parte del campione utilizzato per l‘esame, in modo da poterlo confrontare con campioni prelevati successivamente.
La presenza di anticorpi della classe IgG nel campioni è segno di un’infezione avvenuta nel passato e, quindi, di immunità nei confronti di infezioni successive, mentre la presenza di anticorpi della classe IgM indica infezioni in atto.
Se nel campione non si riscontrano anticorpi, è necessario ripetere l’esame a distanza di circa un mese.
La positività nel secondo campione è segno di infezione recente o in atto; se anche il secondo campione risulta negativo, il test deve essere nuovamente ripetuto dopo 6 settimane dall’esposizione al contagio.
La persistenza della negatività indica che l’infezione non è avvenuta.
I test per la ricerca degli anticorpi antirosolia, per verificare lo stato di suscettibilità o immunità all’infezione, possono essere effettuati gratuitamente, nelle strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, sia nell’ambito di accertamenti preconcezionali che in corso di gravidanza.
E’ sufficiente, per potere usufruire di queste prestazioni, la prescrizione da parte del proprio medico curante, o di specialisti operanti in strutture pubbliche o private accreditate, compresi i consultori familiari (vedi, a questo riguardo, il D.M. 10 settembre 1998).

 

quanto è diffusa la rosolia in Italia

Ogni anno in Italia si registrano circa 19.000 casi di rosolia (media del periodo 1990-99), con notevoli oscillazioni tra gli
anni di picco epidemico ed i periodi tra le epidemie.
Poiché la vaccinazione antirosolia è stata
attuata, in passato, soprattutto nelle
ragazze preadolescenti, più dell’80% dei casi di rosolia riguardano soggetti di sesso maschile, a testimonianza dell’effetto protettivo della vaccinazione.
Come per il morbillo, è stato notato un innalzamento progressivo dell’età di massima incidenza della malattia, sia per effetto di un generale miglioramento delle condizioni di vita, con riduzione delle situazioni di superaffollamento, che per effetto delle campagne di vaccinazione, spesso condotte in modo non uniforme, con insufficiente copertura vaccinale.
L’innalzamento dell’età di massima incidenza è, nel caso della rosolia, particolarmente temibile poichè espone all’infezione donne in età fertile, con conseguente maggior rischio per il prodotto del concepimento.


come si evita

Nei confronti della rosolia esiste da tempo un vaccino molto efficace e sicuro; il vaccino è a base di virus viventi attenuati, cioè di virus che hanno subìto modificazioni tali per cui non sono più in grado di provocare la malattia, ma sono ancora capaci di indurre
la risposta del sistema immunitario.
Il vaccino antirosolia (R) può essere usato come tale o in combinazione con il vaccino antiparotite e con quello antimorbillo (MPR). La vaccinazione MPR è raccomandata per tutti i bambini e può essere eseguita in un qualsiasi momento tra il 12° ed il 15° mese di vita, anche contemporaneamente ad
altre vaccinazioni.
La somministrazione contemporanea di più vaccini non aumenta il rischio di effetti indesiderati e di reazioni avverse.
Il vaccino MPR rappresenta anche una valida alternativa alla sola vaccinazione antirosolia nelle ragazze preadolescenti e nelle donne in età fertile, ai fini della prevenzione della sindrome da rosolia
congenita. Il vaccino MPR può essere infatti somministrato a qualsiasi età, anche a persone che abbiano già superato una delle malattie naturali o che abbiano ricevuto uno dei vaccini singoli.
La vaccinazione di persone già immuni, infatti, non aumenta il rischio di effetti collaterali e reazioni avverse.
La vaccinazione antirosolia, a differenza di quella antimorbillosa, anche se somministrata subito dopo l’esposizione al contagio, non sembra in grado di prevenire l’infezione e la malattia; è comunque utile vaccinare le persone esposte (tranne le donne in gravidanza, in cui la vaccinazione è controindicata) perché può servire a proteggerle in futuro, se l’infezione non è avvenuta.
In ogni caso, la vaccinazione di persone con malattia in incubazione non aumenta il rischio di effetti indesiderati.
La somministrazione di immunoglobuline (anticorpi già formati) in caso di esposizione di una persona suscettibile alla rosolia non è consigliata.
La protezione parziale fornita dalle immunoglobuline può mascherare o attenuare i segni ed i sintomi della malattia, senza però impedire l’infezione e, nel caso di una rosolia contratta in gravidanza, senza prevenire le manifestazioni della rosolia congenita.

Effetti collaterali; Controindicazioni alla vaccinazione e precauzioni;
False controindicazioni alla vaccinazione MPR vedi scheda “Vaccinazione anti – morbillo, - parotite, - rosolia (MPR)”
 

che cosa è?

E’ una malattia infettiva, contagiosa, causata da un virus  del genere  Paramyxovirus, che si localizza
in vari organi e tessuti, ma preferenzialmente a livello delle prime vie aeree (faringe, laringe e trachea) e delle ghiandole salivari.
La parotite è conosciuta fin dall’antichità, anche con il nome popolare di orecchioni o gattoni, ed è sempre stata considerata una malattia dell’infanzia.
Prima dell’introduzione dei vaccini antiparotite, la maggior parte delle persone veniva infettata dal virus della parotite prima dell’adolescenza.
Non sono mancate, anche in passato, epidemie di parotite in cui il maggior numero di casi veniva riscontrato in adulti.
La parotite è, come il morbillo e la rosolia, una malattia endemo-epidemica: essa è cioè sempre presente nelle collettività, con picchi epidemici ogni 2-5 anni, legati al fatto che i nuovi nati formano gradualmente una massa di soggetti suscettibili all’infezione.
La  parotite, sia in forma clinicamente evidente che, come spesso accade,
di infezione inapparente, lascia un’immunità (protezione nei confronti di successive infezioni) che dura per tutta la vita. Anche l’immunità indotta dal vaccino, sebbene inferiore rispetto a quella conferita dai vaccini contro morbillo e rosolia, dura a lungo.


come si manifesta

Dopo un periodo di incubazione che può variare da un minimo di 12 ad un massimo
di 25 giorni (solitamente però è di 16-18 giorni), si ha comparsa di febbre, mal di testa, dolori muscolari, perdita dell’appetito, con gonfiore di una o più ghiandole salivari. Nella maggior parte dei casi vengono colpite una o entrambe le ghiandole poste ai lati
delle orecchie (parotidi), ma la tumefazione può riguardare anche le ghiandole sottolinguali  e le sottomandibolari.
Circa un terzo ( ma secondo alcuni anche il 40-50%) delle infezioni da virus parotitico non si manifesta in forma clinicamente evidente, ma soltanto con una sintomatologia non specifica a livello delle vie respiratorie.
Le infezioni inapparenti sono più frequenti
negli adulti che non nei bambini, in cui la parotite si presenta soprattutto tra i 2 ed i 9 anni.


le complicazioni della parotite

La parotite è considerata, nei bambini, una malattia ad evoluzione benigna, ma non è priva di complicazioni.
Le complicazioni più frequenti della parotite sono le orchiti (un’infiammazione dei testicoli che colpisce dal 30 al 40% dei casi di infezione in maschi adulti), le meningiti
(dal 4 al 6% dei casi), le pancreatiti (4%).
In 1-2 casi su 10.000 può manifestarsi una encefalite e la parotite può essere mortale in 1 caso su 10.000.
Gli adulti sono più a rischio di complicazioni di tipo meningoencefalitico rispetto ai bambini e le complicazioni più gravi possono presentarsi anche in corso di infezioni senza la classica sintomatologia delle ghiandole salivari.
La parotite è anche una delle cause principali di sordità neurosensoriale,
per azione diretta del virus sulle cellule dell’orecchio interno.
La sordità da parotite è ad insorgenza immediata, può essere bilaterale, ed è permanente.
La sterilità sembra invece una conseguenza molto rara dell’orchite in corso di parotite. Sembra che le infezioni da virus parotitico contratte nel primo trimestre di gravidanza siano associate ad un aumento dell’abortività, mentre, anche se il virus passa attraverso la placenta e può infettare il feto, non è stato dimostrato un aumento
delle malformazioni fetali.

 

cosa fare in caso di malattia

Per le forme non complicate sono sufficienti riposo ed una dieta leggera
e preferibilmente liquida, per mitigare il dolore causato dalla masticazione.
Sarebbe bene evitare succhi di agrumi perchè la loro acidità può accentuare il fastidio dovuto all’infiammazione.
Per alleviare mal di testa e malessere generale, il medico curante potrà
consigliare la terapia sintomatica più adatta.
Nel caso di forme complicate, la somministrazione di farmaci e l’eventuale ricorso alla nutrizione per via endovenosa, debbono essere decisi dal medico.

 

come si trasmette

La parotite si trasmette essenzialmente per via aerea, attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando.Il virus della parotite viene eliminato anche con le urine e, passando attraverso la placenta, può infettare il prodotto del concepimento, senza però che sia stata dimostrata una sua responsabilità nell’induzione di malformazioni fetali. Il periodo di contagiosità, in cui la malattia può essere trasmessa
dalle persone infette (con o senza sintomi manifesti) a quelle suscettibili, va da 6-7 giorni prima a 9 giorni dopo
la comparsa della tumefazione delle ghiandole salivari; l’infettività è massima nelle 48 ore che precedono tale comparsa.


chi è a rischio

Praticamente tutti, tranne i vaccinati
o coloro che sono immuni per avere già contratto la malattia.


Quanto è diffusa la parotite in Italia

Ogni anno in Italia si registrano circa 41.000 casi di parotite (media del periodo 1990-99), con notevoli oscillazioni tra
gli anni di picco epidemico ed i periodi tra
le epidemie.
Maschi e femmine sono colpiti in eguale misura e i casi di parotite vengono segnalati da tutte le Regioni.
Tuttora i casi di parotite nella fascia
di età 0-14 anni rappresentano l’80% e quelli della fascia di età 15-24 anni il 2% del totale dei casi notificati, senza quegli spostamenti in avanti dell’età di massima incidenza della malattia osservati invece nel caso del morbillo e della rosolia.


come si evita

Anche nei confronti della parotite esistono da tempo vaccini sicuri ed efficaci, a base di virus viventi attenuati, cioè di virus che hanno subìto modificazioni tali per cui non sono più in grado di provocare la malattia, ma sono ancora capaci di indurre la risposta del sistema immunitario.
L’inoculazione dei vaccini antiparotite determina una risposta anticorpale (sieroconversione) in percentuali variabili tra il 90 ed il 98% dei vaccinati.
Tuttavia la protezione effettiva sembra essere inferiore rispetto a quella conferita dai vaccini antimorbillo ed antirosolia.
Vengono infatti osservati casi di parotite anche in soggetti vaccinati di recente, ma il decorso della malattia è comunque molto più mite che nei non vaccinati ed è  privo di complicazioni.Il vaccino antiparotite (P) può essere usato come tale o in combinazione con il vaccino antimorbillo e con quello antirosolia (MPR).
La vaccinazione MPR è raccomandata per tutti i bambini e può essere eseguita in un qualsiasi momento tra il 12° ed il 15° mese di vita, anche contemporaneamente ad altre vaccinazioni.
La somministrazione contemporanea di più vaccini non aumenta il rischio di effetti indesiderati e di reazioni avverse.
Il vaccino MPR rappresenta anche una valida alternativa alla sola vaccinazione antiparotite nei ragazzi.
Il vaccino MPR può essere infatti somministrato a qualsiasi età, anche a persone che abbiano già superato una delle malattie naturali o che abbiano ricevuto uno dei vaccini singoli.
La vaccinazione di persone già immuni,infatti, non aumenta il rischio di effetti collaterali e reazioni avverse.
La vaccinazione antiparotite, a differenza di quella antimorbillosa, non sembra in grado di prevenire l’infezione e la malattia se somministrata subito dopo l’esposizione al contagio.
La vaccinazione sarebbe comunque utile in caso di epidemie perché garantisce protezione nei confronti di eventuali esposizioni successive (più del 95% dei riceventi presenta risposta immunitaria e la vaccinazione di un soggetto già immune, o con parotite in incubazione, non presenta controindicazioni né comporta aumentato rischio di reazioni indesiderate).
E’ quindi utile vaccinare le persone esposte (tranne le donne in gravidanza, in cui la vaccinazione è controindicata) perché può servire a proteggerle in futuro, se l’infezione non è avvenuta.

Effetti collaterali; Controindicazioni alla vaccinazione e precauzioni;
False controindicazioni alla vaccinazione MPR vedi scheda “Vaccinazione anti – morbillo, - parotite, - rosolia (MPR)”


che cosa è?

E’ una malattia infettiva, molto contagiosa, causata da un batterio, la Bordetella pertussis, che
si localizza preferibilmente nelle cellule di rivestimento dell’apparato respiratorio ed esercita
il proprio potere patogeno (capacità di un microrganismo di provocare malattia)
per mezzo di numerose sostanze, alcune delle quali possono essere considerate
vere e proprie tossine (esempio: tossina pertossica o PT).
Malattie simili alla pertosse, dal punto di vista della sintomatologia, possono essere provocate anche da altri batteri, quali la Bordetella parapertussis e l’Haemophilus influenzae, nonché da virus.
La pertosse lascia un’immunità (protezione nei confronti di ulteriori attacchi della malattia) che declina lentamente nel corso del tempo.
Persone che hanno avuto la pertosse da bambini possono, in età adulta o avanzata, andare incontro nuovamente alla malattia, anche se in forma più attenuata e/o atipica; inoltre, anche senza presentare alcun sintomo, esse possono trasmettere l’infezione ad altri soggetti suscettibili.
Prima dell’introduzione dei vaccini antipertosse, almeno l’80% delle persone veniva infettato dal batterio della pertosse prima dell’adolescenza.

 

come si manifesta

Dopo un periodo di incubazione che può variare da un minimo di 6 ad un massimo di 20 giorni (solitamente però è di una decina di giorni), si ha comparsa di febbre moderata e di sintomi non molto diversi
da quelli di una qualsiasi affezione delle vie aeree.
A volte la febbre può essere del tutto assente. Questa prima fase, definita catarrale, dura circa 2 settimane ed è seguita, nelle presentazioni tipiche della pertosse, dalla fase convulsiva, che può durare fino a  6 settimane e oltre.
La fase convulsiva è caratterizzata da accessi incontenibili di tosse stizzosa, che si concludono con un tipico “urlo inspiratorio” e l’espulsione di un "blocchetto" di catarro molto denso e vischioso; a volte gli accessi di tosse sono seguiti da conati di vomito.La pertosse può presentarsi in forma atipica negli adolescenti e negli adulti,
e nei bambini molto piccoli: in questi ultimi, al termine dell’attacco di tosse, invece dell’urlo inspiratorio può manifestarsi apnea (assenza di respirazione) e soffocamento.Dopo la fase convulsiva segue un periodo
di convalescenza di 1-2 settimane.


le complicazioni della pertosse

La pertosse è una malattia particolarmente pericolosa nei bambini molto piccoli, al di sotto del primo anno di vita, in cui può essere responsabile di gravi complicazioni, spesso con conseguenze invalidanti permanenti.
Le complicazioni più frequenti della
pertosse sono le emorragie sottocongiuntivali e le epistassi
(emorragie dal naso) causate direttamente dai colpi di tosse, le otiti medie purulente (solitamente per sovrapposizione
di un’altra infezione batterica), le polmoniti e le broncopolmoniti (fino al 12% dei casi). Le complicazioni più gravi della pertosse sono quelle a carico del sistema nervoso centrale (encefalopatia); esse sono
dovute sia alla scarsa ossigenazione del sangue durante gli accessi di tosse, sia all’azione diretta della tossina pertossica e si manifestano in circa il 5% dei casi.La letalità delle pertosse non complicata nei Paesi industrializzati è in generale molto bassa, ma continua ad essere elevata nei Paesi in via di sviluppo.
La letalità della pertosse, che nell’Italia dei primi decenni del ‘900 era di circa il 10%o, è attualmente dello 0,01%o, ma può arrivare a 0,5-1%o nei bambini al di sotto dell’anno di vita.
La letalità dell’encefalopatia pertossica invece può arrivare al 30% e circa la metà dei sopravvissuti subisce danni neurologici permanenti.


cosa fare in caso di malattia

La terapia antibiotica prescritta dal medico (l’eritromicina è l’antibiotico di prima scelta), soprattutto se iniziata precocemente nella fase catarrale, può attenuare sensibilmente la sintomatologia della pertosse; gli attacchi possono però presentarsi lo stesso, soprattutto se l’inizio della terapia è stato tardivo.
In ogni caso il trattamento antibiotico combatte l’infezione e ne evita la diffusione ad altri soggetti suscettibili e per questo è indicato, a scopo preventivo, anche nelle persone esposte. Per evitare ricadute, il trattamento antibiotico dovrebbe continuare almeno per 14 giorni; i bambini molto piccoli richiedono terapie più prolungate rispetto a quelli più grandicelli.
In caso di allergia all’eritromicina possono essere utilizzati, sempre su prescrizione medica, altri antibiotici.
E’ utile il riposo, in ambiente tranquillo e confortevole: gli attacchi di tosse, oltre che dall’esercizio fisico, dallo sbadiglio o da starnuti, possono essere provocati da stimoli esterni improvvisi.

 

come si trasmette

La pertosse è una malattia molto contagiosa. La trasmissione dell’infezione avviene da malato a sano attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando.
Chi è affetto da pertosse è contagioso per gli altri dall’inizio del periodo catarrale fino a tre settimane dall’inizio della fase convulsiva. Nei pazienti trattati con eritromicina la contagiosità si estingue in circa 5 giorni dall’inizio della terapia.
Per la pertosse non si ammette l’esistenza di “portatori sani” (persone che senza essere malate ospitano e diffondono l’agente patogeno) ma solo di malati in forma atipica o asintomatica.
I casi asintomatici veri e propri sarebbero in realtà estremamente rari, perché un’attenta osservazione clinica permette di mettere in evidenza sintomi aspecifici di infezione dell’apparato respiratorio.


chi è a rischio

Praticamente tutti sono a rischio di contrarre la pertosse, tranne coloro che hanno avuto la malattia, o sono stati vaccinati, in tempi relativamente recenti.
L’immunità conferita dalla malattia naturale e dalla vaccinazione declina infatti lentamente e si possono quindi avere nuovi attacchi della malattia, anche se in forma atipica, in età adulta.
I bambini, contrariamente a quanto avviene con altre malattie infettive, sono suscettibili alla pertosse fin dalla nascita. Gli anticorpi materni, anche se presenti, non sembrano in grado di proteggere i neonati dall’infezione.


quanto è diffusa la pertosse in Italia

Ogni anno in Italia vengono segnalati al Ministero della Sanità circa 9.000 casi di pertosse (media del periodo 1990-99), con discrete oscillazioni tra gli anni di picco epidemico ed i periodi tra le epidemie.
A partire dalla seconda metà degli anni ’90, dopo l’introduzione dei nuovi vaccini antipertosse acellulari, è aumentato il numero dei bambini vaccinati (attualmente vengono vaccinati contro la pertosse, in media, circa 80 bambini su 100) e, di conseguenza, è diminuito il numero dei casi di pertosse segnalati annualmente al Ministero della Sanità.
Come nel caso del morbillo e della rosolia, è stato però notato un innalzamento progressivo dell’età di massima incidenza della malattia, sia per effetto di un generale miglioramento delle condizioni di vita, con riduzione delle situazioni di superaffollamento, sia per effetto della copertura vaccinale ancora insufficiente che limita, ma non elimina, la circolazione dell’agente patogeno.

 

come si evita

Nelle persone venute a contatto con casi contagiosi di pertosse, è possibile effettuare una profilassi con antibiotici specifici (eritromicina), ma il modo migliore per prevenire la pertosse è la vaccinazione. Attualmente esistono due tipi di vaccini antipertosse: quello tradizionale, o cellulare, che contiene batteri interi, uccisi con sostanze chimiche e purificati, e quello acellulare, ottenuto con tecniche di ingegneria genetica, che contiene soltanto alcune parti del batterio della pertosse.
Nei Paesi industrializzati si tende a preferire i vaccini antipertosse acellulari per la loro relativa minore reattogenicità, che ha reso molto più accettabile la vaccinazione antipertosse.
In Italia sono attualmente disponibili vaccini antipertosse monovalenti ed
in combinazione con l’antidifterico-antitetanico, con l’antipoliomielitico iniettabile tipo Salk, con l’antihaemophilus influenzae b, con l’antiepatite virale B.
Per proteggere il bambino nell’età in cui la malattia è più pericolosa, la vaccinazione contro la pertosse va iniziata prima possibile.
Secondo il nuovo calendario delle vaccinazioni per l’età evolutiva, in vigore dal maggio 1999, la vaccinazione antipertosse, con una qualsiasi delle combinazioni disponibili in commercio, può essere iniziata a partire dal compimento della 8a settimana di vita.
Per una protezione efficace sono necessarie più dosi e, pertanto, il ciclo di vaccinazione va completato con una seconda dose a distanza di 6-8 settimane dalla prima, e da una terza dose all’11°-12° mese di vita.
Per prolungare nel tempo l’immunità conferita dalla vaccinazione si raccomanda la somministrazione di una dose di richiamo prima dell’inizio della scuola elementare.


 effetti collaterali

Le reazioni indesiderate più comuni, dopo la vaccinazione antipertosse, consistono in dolore e infiammazione nel punto in cui è stato iniettato il vaccino, febbre, irritabilità oppure torpore; a volte i bambini vaccinati presentano crisi di pianto inconsolabile, di alta tonalità, da attribuire molto verosimilmente al dolore provocato dalla reazione locale.

controindicazioni alla vaccinazione e precauzioni (chi non deve essere vaccinato)

La vaccinazione antipertosse va rimandata in caso di malattie acute in atto con febbre superiore a 38.5°, o in caso di malattie neurologiche evolutive (che possono peggiorare nel tempo) e di cui non sia stata ancora accertata l’origine.
La vaccinazione antipertosse è controindicata in soggetti che abbiano presentato reazioni anafilattiche dopo precedenti somministrazioni del vaccino e va eseguita con precauzioni, vale a dire con una attenta valutazione del rapporto rischio-beneficio individuale, in caso di reazioni, dopo precedenti somministrazioni, quali: febbre superiore a 40,5°C, pianto inconsolabile di durata superiore a tre ore, episodi di ipotonia-iporesponsività (episodi simili al collasso, con pallore e/o cianosi, perdita del tono muscolare, scarsa reattività agli stimoli ambientali), convulsioni con o senza febbre.E' possibile proteggere il bambino predisposto alle convulsioni febbrili
con farmaci antipiretici il giorno della vaccinazione e quello successivo.


false controindicazioni

Una generica storia familiare o personale di “allergia” non è una controindicazione alla vaccinazione, così come non lo sono
le malattie neurologiche stabili quali la paralisi cerebrale, la spina bifida e altre malattie su base malformativa o genetica.
La prematurità del bambino, o il basso peso alla nascita, non sono controindicazioni alla vaccinazione antipertossica: nei bambini prematuri le vaccinazioni vanno effettuate secondo l’età anagrafica.

 

che cosa sono

Sono malattie batteriche provocate da batteri appartenenti alla specie Haemophilus influenzae, detti emofili perché crescono solo in presenza di sangue, che si localizzano preferibilmente a livello delle cellule dell’apparato respiratorio.
Gli emofili sono batteri molto diffusi in natura, e si stima che almeno l’80% degli adulti e dei bambini li ospiti nella mucosa delle prime vie aeree.
Esistono ceppi di emofili provvisti di capsula, contraddistinti con le lettere dell’alfabeto, e ceppi non capsulati.
Tra i ceppi capsulati, quello di tipo b (Hib) può essere responsabile, nei bambini piccoli,
di gravi infezioni invasive: otite media purulenta, polmonite e broncopolmonite, epiglottite (una grave forma di laringite), artrite settica e osteomielite  (infezione del midollo osseo), cellulite (infiammazione diffusa di tessuti molli o del tessuto connettivo che può portare alla formazione di ulcere o ascessi), pericardite, setticemia (infezione generalizzata a tutto l’organismo, molto spesso mortale), meningite purulenta.
L’Hib è responsabile, da solo, di circa il 95% delle forme invasive di infezione da emofili, che si manifestano soprattutto nei bambini di età inferiore a 5 anni.
Le infezioni inapparenti (senza manifestazioni evidenti di malattia) sono molto frequenti e lasciano un’immunità che viene ad essere rinforzata in occasione di ogni contatto con il germe: per tale motivo le infezioni invasive da Hib sono molto rare negli adulti e nei bambini più grandi.
Nei bambini molto piccoli, al di sotto dei tre mesi di vita, gli anticorpi di origine materna offrono ancora una discreta protezione nei confronti delle infezioni invasive da Hib, che cominciano a manifestarsi, solitamente, a partire dal sesto mese di vita.


come si manifesta

Il periodo di incubazione di una infezione da Hib non è stato definito con certezza ma con tutta probabilità ha una durata variabile da 2 a 4 giorni.
La sintomatologia dipende dalla forma clinica con cui si manifesta l'infezione.
Nel caso della meningite, che è sicuramente la forma più grave di infezione da Hib per la frequenza dei danni permanenti che può provocare, i sintomi principali sono febbre elevata, vomito, torpore. Nei neonati e nei lattanti si manifesta rigonfiamento della fontanella, mentre nei bambini più grandi è più evidente il segno della rigidità del collo; il coma è molto frequente.
Talvolta la meningite da Hib si presenta con una sintomatologia meno evidente,
con febbre di grado moderato e segni
di sofferenza del sistema nervoso centrale più sfumati; anche in questi casi, però, possono residuare esiti permanenti anche molto invalidanti.
L’epiglottite si presenta come una grave forma di laringite, con difficoltà respiratorie che possono rendere necessarie l’intubazione o la tracheotomia.
Le artriti settiche si presentano con segni di infiammazione (gonfiore, arrossamento, dolore, impotenza funzionale) di una o più articolazioni.


complicazioni delle malattie
da Hib

Le complicazioni dipendono, come la sintomatologia, dalla manifestazione clinica della malattia da Hib.
La meningite da Hib, ad esempio, presenta una mortalità che può andare dal 3 al 10%, nonostante la diagnosi precoce e la terapia adeguata.
Il 20-30% dei sopravvissuti subisce danni permanenti che vanno dalla sordità, alla cecità, ai disturbi del linguaggio, alle convulsioni, alle paralisi, al ritardo mentale.
La sordità, anche se con un diverso meccanismo, può fare seguito anche alla otite media purulenta, mentre
le artriti settiche possono danneggiare le cartilagini di accrescimento ed essere alla base di accrescimento anomalo dell’arto colpito.


cosa fare in caso di malattia

E’ necessario cominciare, il più presto possibile, la terapia con antibiotici efficaci prescritti dal medico curante (circa il 30% dei ceppi di Hib mostra di avere acquisito resistenza nei confronti delle penicilline e di altri antibiotici).
La somministrazione di cortisonici, su indicazione del medico, può avere un effetto positivo, riducendo l’entità dei fenomeni infiammatori.

 

come si trasmette

La trasmissione dell’infezione avviene attraverso le goccioline di saliva emesse con la tosse, gli starnuti o anche semplicemente parlando.
Gli emofili sono in generale ospiti molto frequenti delle vie aeree, potendo colonizzare fino all’80% dei bambini e degli adulti.
Per quanto riguarda l’Hib, invece, la colonizzazione è più rara; tuttavia, circa
il 3-5% dei bambini, soprattutto quelli che frequentano collettività, risulta essere portatore dell’Hib.
D’altra parte, sono proprio le infezioni ripetute a determinare, con il progredire dell’età, l’acquisizione dell’immunità nei confronti delle malattie invasive da Hib
e da altri emofili.
La contagiosità dura fintanto che il microrganismo è presente nelle mucose dell’apparato respiratorio.
Il trattamento antibiotico (con antibiotici efficaci) estingue la contagiosità entro
24-48 ore dall’inizio della terapia.


chi è a rischio

Sono soprattutto i bambini fino a 5 anni ad essere esposti al rischio di contrarre una malattia invasiva da Hib.
Il rischio è massimo per i bambini di età compresa tra 6 e 12 mesi di vita mentre al di sotto dei 6 mesi le forme invasive da Hib sono rare, per l’effetto protettivo degli anticorpi di origine materna.
 Ogni tipo di infezione invasiva da Hib ha la sua età caratteristica: la meningite è più frequente appunto tra 6 e 12 mesi, fino a 18 mesi, mentre l’epiglottite si manifesta preferibilmente nei bambini al di sopra dei 2 anni di vita.
I bambini al di sopra dei 5 anni e gli adulti sono colpiti solo molto raramente, e nel caso siano presenti altri fattori di rischio quali: malattie croniche che comportino disordini immunitari, malattie polmonari croniche (mucoviscidosi, broncopatie croniche), gravidanza, alcolismo, malnutrizione.
Negli adulti con condizioni di rischio le infezioni invasive da Hib si presentano solitamente sotto forma di polmoniti.
I bambini che frequentano collettività infantili quali asili nido e scuole materne risultano essere maggiormente a rischio rispetto a quelli che non le frequentano.Le condizioni di superaffollamento,
le famiglie numerose e, in generale, condizioni di disagio socio-economico, sembrano aumentare il rischio di andare incontro ad una malattia invasiva da Hib, così come le infezioni virali dell’apparato respiratorio, attraverso un meccanismo di alterazione delle mucose e della flora batterica delle prime vie aeree.


quanto sono diffuse in Italia

Le meningiti da Hib sono in generale molto più diffuse nei Paesi dell’Europa
settentrionale e negli Stati Uniti d’America.
In Italia, secondo i dati forniti dal sistema nazionale di sorveglianza delle meningiti

batteriche, in atto dal 1994, ogni anno si verificano circa un centinaio di casi di meningite da Hib che, in oltre l’85% dei casi si manifestano in bambini al di sotto dei 5 anni di età.
Il tasso medio di morbosità che è pari a 4,6 casi ogni 100.000 bambini di età inferiore a 2 anni, scende a 2,3 casi
per 100.000 se si considerano quelli fino a 5 anni.
Le meningiti da Hib rappresentano la forma più frequente di meningite batterica nei bambini: i casi osservati nei bambini fino a 5 anni di età sono il 36% di tutte le meningiti batteriche osservate in quella fascia di età.
Tali dati confermano quelli ottenuti in precedenza per mezzo di indagini retrospettive effettuate sulle diagnosi
di dimissione ospedaliera.Non sono disponibili, invece, dati sulla frequenza in Italia, delle altre forme invasive da Hib, quali le epiglottiti e le broncopolmoniti.


come si evita

La vaccinazione rappresenta l’unico mezzo per prevenire efficacemente le forme invasive di infezioni da Hib nei bambini fino a 5 anni.
Il vaccino contro l’Hib è costituito dagli zuccheri complessi (polisaccaridi) che formano la capsula del batterio; non contiene quindi batteri interi, attenuati o uccisi, ma soltanto alcuni componenti di questi, del tutto privi di qualsiasi potere patogeno e/o tossico.
Per potere ottenere una protezione efficace anche nei bambini al di sotto dei due anni di vita, che sono poi quelli maggiormente esposti al rischio di meningite da Hib, i polisaccaridi capsulari vengono coniugati con proteine.
I vaccini anti-Hib in commercio in Italia sono coniugati con la anatossina tetanica
o con quella difterica e sono disponibili sia in forma di vaccino singolo, che di vaccini combinati con l’antidifterico-tetanico-pertossico e con l’antipoliomielitico inattivato (vaccino Salk, somministrato per via intramuscolare).
Per proteggere il bambino nell’età in cui è maggiore il rischio di meningite da Hib, la vaccinazione va iniziata prima possibile.
Secondo il nuovo calendario delle vaccinazioni per l’età evolutiva, in vigore dal maggio 1999, la vaccinazione anti-Hib, con il vaccino singolo o con una qualsiasi delle combinazioni disponibili in commercio, può essere iniziata a partire dal compimento della 8a settimana di vita.
Il numero delle dosi necessarie per ottenere una protezione efficace dipende dall’età del bambino al momento in cui
si inizia il ciclo di vaccinazione: se questa viene iniziata nel corso del primo anno
di vita sono necessarie tre dosi e, pertanto,
il ciclo di vaccinazione va completato con una seconda dose a distanza di 6-8 settimane dalla prima, e da una terza dose all’11°-12° mese di vita.
E’ possibile anche effettuare le somministrazioni del vaccino anti-Hib ad intervalli più ravvicinati, purché non inferiori a 4 settimane.
Dopo il compimento del primo anno di vita una sola dose di vaccino è sufficiente a conferire la protezione contro la meningite da Hib.
Dosi di richiamo del vaccino anti-Hib non sono considerate necessarie, non solo perché il rischio di forme invasive da Hib diminuisce con l’età, ma anche perché l’immunità acquisita attraverso la vaccinazioni viene rinforzata in modo naturale dalle infezioni che si ripetono nel corso del tempo.
Il vaccino anti-Hib non protegge nei confronti di altre forme di meningite batterica.
Per i bambini non vaccinati, venuti a contatto con casi di meningite da Hib, e per i contatti familiari di ogni età di
famiglie in cui siano presenti bambini non vaccinati, è opportuno praticare,
su prescrizione medica, una profilassi antibiotica.
Nei bambini deve essere comunque effettuata, anche in caso di profilassi
antibiotica, una accurata sorveglianza sanitaria per mettere in evidenza sintomi iniziali di meningite ed intervenire immediatamente con terapia appropriata.


effetti collaterali

Le reazioni indesiderate dopo la vaccinazione anti-Hib sono rare e di lieve entità; esse consistono essenzialmente
in dolore e infiammazione nel punto in cui è stato iniettato il vaccino, febbre, irritabilità oppure sonnolenza,
che scompaiono nel giro di pochi giorni.
Come qualsiasi sostanza estranea all’organismo anche il vaccino Hib
può provocare, seppure molto raramente, manifestazioni allergiche.
 

chi non deve essere vaccinato (controindicazioni alla vaccinazione e precauzioni)

La vaccinazione va rimandata in caso di malattie acute in atto con febbre superiore a 38.5°C.
Non esistono condizioni cliniche che controindichino in maniera assoluta la somministrazione del vaccino anti-Hib, a parte le reazioni anafilattiche dopo precedenti somministrazioni del vaccino.

Vaccinazione anti – morbillo, parotite, rosolia (MPR)

 

Effetti collaterali

Le reazioni indesiderate più frequenti dopo la vaccinazione con  vaccino antimorbillo, antiparotite, antirosolia, in forma singola o come MPR, consistono in rossore e gonfiore nel punto in cui è stato inoculato il vaccino e febbre, modesta e di breve durata. In alcuni casi dopo vaccinazione con MPR (oppure con M o con P o con R) possono manifestarsi alcuni dei sintomi caratteristici delle malattie naturali quali febbre, esantema o gonfiore delle ghiandole salivari. I virus vaccinali non si trasmettono da persona a persona come i corrispondenti virus naturali (anche detti virus “selvaggi”): di conseguenza, le persone vaccinate di recente, anche se dovessero manifestare i sintomi sopra descritti, non sono contagiose per gli altri.
Come qualsiasi sostanza estranea all’organismo anche il vaccino MPR (o M o P o R) può provocare, seppure molto raramente, manifestazioni allergiche.


Controindicazioni alla vaccinazione e precauzioni

La vaccinazione va rimandata in caso di malattie acute in atto con febbre superiore a 38.5°, ed è controindicata in caso di precedenti reazioni  allergiche di tipo anafilattico al vaccino o ad uno dei suoi componenti, in caso di gravidanza della ricevente (la gravidanza di una congiunta o convivente non è invece motivo per ritardare la vaccinazione di un bambino), in caso di alterazioni del sistema immunitario con immunodeficienza.
Le persone sieropositive per HIV, che non siano ancora in AIDS conclamato (sintomatico) possono però ricevere la vaccinazione MPR, che è anzi indicata per i bambini sieropositivi non ancora gravemente immunocompromessi, perché le complicazioni delle malattie naturali sono, nel loro caso, più frequenti e più gravi.
Dopo vaccinazione MPR o R in una donna in età fertile, è bene rimandare l’inizio di un’eventuale gravidanza per almeno tre mesi (sono sufficienti 30 giorni se vengono somministrate le sole componenti parotitica e/o morbillosa).
La somministrazione di vaccino MPR o di vaccini monovalenti contenenti le componenti morbillosa, parotitica e rubeolica in una donna in cui, successivamente, venga accertato lo stato di gravidanza, non rappresenta un motivo valido per prendere in considerazione l’interruzione della stessa.
 

False controindicazioni alla vaccinazione MPR

Affezioni minori (es: infezioni delle prime vie aeree, otite, diarrea, etc.) anche febbrili, con febbre <38.5°C, l’allergia alimentare alle uova, la dermatite da contatto, l’allergia alla penicillina ed una storia personale di convulsioni così come lo stato di gravidanza o di immunodeficienza in conviventi e in contatti, non sono invece motivi per rimandare o non eseguire la vaccinazione.